I buyer delle catene della GDO sono spesso
considerati dai colleghi di altri mercati particolarmente
fortunati perché in posizione dominante, invidiati
per i volumi che acquistano, la tranquillità della posizione che
ricoprono e la possibilità di scegliere tra fornitori
alternativi.
I venditori dei produttori, a loro volta, si
lamentano del fatto che i loro margini sono costantemente erosi da
buyer della GDO aggressivi con condizioni di acquisto vessatorie e
dipingono un quadro complessivo in cui la GDO non solo chiede
sconti per essere aiutata nelle promozioni di prezzo, ma in
aggiunta pretende il riconoscimento del credito per la promozione
efficace, chiede sconti retroattivi e contributi marketing,
sanziona i fornitori per il “mancato profitto” in situazioni di
rottura di stock, impone unilateralmente nuovi termini di
pagamento, minaccia delisting… e tanto, tanto altro ancora!
Tuttavia non tutto è come appare; infatti, dalle
conversazioni che ho avuto con molti manager che si occupano di
acquisti nella GDO, risulta chiaramente che i buyer sono costretti
a operare su base regolare con decine di fornitori e centinaia di
referenze, che di frequente sono il riferimento per la soluzione di
ogni inefficienza della struttura per cui operano, e devono
recuperare la marginalità persa a causa della gestione inefficace
praticata nel punto vendita o da strategie di insegna incoerenti.
Ed è in questo scenario che i buyer della GDO si possono
anche trovare a gestire fornitori tanto fiduciosi della forza del
loro brand da non cedere alle richieste e utilizzare tutti
gli strumenti possibili per rendere difficile ogni
cambiamento.
È questo il caso di un buyer, con cui ho frequenti conversazioni,
il quale mi racconta che è costretto a discutere costantemente con
un fornitore del settore del Bianco che pretende di negoziare
costantemente ogni piccola modifica contrattuale e si prende i
“suoi tempi” per le decisioni che potrebbero influenzare il proprio
posizionamento di marca. Tutto ciò, nonostante le minacce di
delisting che vengono prontamente rintuzzate con tattiche sempre
più svariate e creative. Da un punto di vista accademico la cosa mi
rende particolarmente soddisfatto perché è la prova di quanto, noi
di Scotwork, professiamo da anni: ovvero che un approccio
strategico, strutturato, alla negoziazione quotidiana può riportare
il rapporto tra le parti a un livello di parità .
Vero è che tale comportamento può essere motivo di difficoltà e
irritazione per il buyer, ma è altrettanto vero che, in un’ottica
allargata, un certo tipo di “tensione negoziale” è un fattore utile
per le aziende di entrambe le controparti in quanto genera, come
conseguenza, non solo una continua ricerca del miglioramento delle
reciproche posizioni ma anche un’indicazione per il Management che
gli obiettivi sono stati settati in modo corretto. Detto ciò,
confesso che ogni volta in cui sento una persona del Procurement
dirmi: “rinegoziare i contratti su base annua / trimestrale /
mensile richiede troppo tempo perché certi elementi sono
concessioni che sono ormai parte del contratto”, mi pongo delle
domande. Quando le condizioni complessive cambiano
e il valore generato per gli stakeholder è maggiore rispetto al
tempo dedicato alla trattativa, allora rinegoziare un
contratto è un dovere e, nel caso in cui questo non
accada, è in questa circostanza che il Management potrebbe aver
serie motivazioni a interrogarsi sul perché. A volte è solo il
costo del tempo necessario al cambiamento a essere elevato; a
fronte di ciò, dunque, invece di pensare a ristrutturazioni che
aumentano in misura esponenziale il carico di lavoro sui singoli
individui, o inventare modelli di asta online, forse avrebbe senso
allargare alla vendor list dei propri fornitori strategici un
knowhow che consenta di accelerare il processo e riduca i tempi
negoziali.
Trasformare l’approccio con i fornitori in un programma
negoziale di partnership in cui questi diventino i
generatori di valore lungo la catena logistica e di marketing fino
al proprio cliente finale, è la leva che può rivoluzionare
in modo strategico, sia il ruolo della Funzione, sia il
posizionamento dell’azienda nei confronti dei propri concorrenti.
L’integrazione culturale tra cliente e fornitore, pur nel
rispetto delle reciproche posizioni, è un fattore di
successo che, noi di Scotwork, abbiamo sperimentato negli
ultimi anni in molteplici contesti industriali e che può essere
trasformato in realtà a sostegno delle strategie
dell’azienda.
La dimensione di un’azienda, di un brand o il suo
posizionamento, da soli, non conferiscono maggior forza
negoziale; è la comprensione continua
di cosa la controparte vuole o vuole evitare che permette
di sviluppare potere nel negoziato. Il compito di un buon
negoziatore spesso si traduce nel saper mantenere questo potere in
equilibrio per evitare lo svilupparsi di situazioni in cui si passi
da un rapporto tra “pari”, in “tensione negoziale” positiva, a una
situazione in cui una “parte diventi dominante”, rischiando di dar
vita a una situazione capace di creare precedenti che distruggono
valore nel lungo periodo. È in queste circostanze che la
“Partnership Negotiation” interviene per consentire di gestire il
fornitore in modo da estrarre il maggior valore possibile.
Partnership Negotiation non significa cedere,
anzi! Significa utilizzare al meglio le proprie
concessioni senza generare precedenti di lungo periodo; significa,
per l’azienda, utilizzare nel Procurement le proprie risorse
migliori perché diventino la chiave per differenziare la società
rispetto alla propria concorrenza.
L'articolo è stato pubblicato su THE PROCUREMENT (maggio 2016).