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L'insidia della cifra tonda

Claudio Cubito

Venghino, signori, venghino. Quello che state per vedere è l’ultimo, incredibile numero del mio spettacolo… farò roteare tre torce infiammate in equilibrio sul monociclo. Ma prima di offrirvi questo ultimo grande numero, permettetemi dirvi due parole su chi io sia.

Dall’alto del suo monociclo, SuperFrank inizia la sua vendita: “Vivo facendo il giocoliere nelle piazze. Questo è il mio lavoro. Non ho altro lavoro. Vivo con il denaro delle persone che come voi apprezzano il mio spettacolo e decidono di darmi un contributo affinché io possa continuare a divertire sempre più persone”.

E ancora: “Il mio spettacolo è durato più di 40 minuti. Quanto pagate solitamente per uno spettacolo di 40 minuti? È un tempo di una partita di calcio (in cui alle volte non si segna neanche un goal), è metà di un film, la durata media di una visita in un museo. Per tutte queste cose spendete 10, 15, 20 euro a testa o di più. Vi siete divertiti in questi 40 minuti del mio spettacolo? Penso di sì, se siete ancora qui in centinaia. Penso allora che il mio spettacolo valga almeno 5 euro. Che ne dite? Ecco, questi sono 5 euro. – tirandoli fuori dalla tasca a facendoli vedere al pubblico – Non datemi pochi spiccioli, non sarebbe dignitoso. Quanto costa andare al bagno pubblico qui nella piazza? Solo 50 centesimi. Darmi 50 centesimi significa considerarmi una…”.

SuperFrank (per saperne di più: www.superfrank.com) fa accendere al pubblico della De Dam di Amsterdam le sue tre torce; fa finta di barcollare dal suo monociclo e di cadere addosso allo spettatore che gliele deve porgere tra le risate fragorose della piazza e poi inizia a lanciare in aria le torce infiammate. SuperFrank è più un clown che un giocoliere, ma quando chiama l’ovazione finale per lanciare le torce tra le gambe lasciando i pedali del suo monociclo, il pubblico risponde entusiasta e corre a dare il suo contributo nel cappello.

A pensarci bene, più che un clown o un giocoliere, SuperFrank è un grande venditore. Non so quanto volte vi sia capitato di vedere un artista di strada chiedere in modo chiaro, specifico e credibile il compenso che voleva percepire, cioè supportato da fatti, logica e motivi, ma Superfrank sa fare egregiamente il suo mestiere (di venditore di se stesso).

Molti di noi – venditori di mestiere – sono bravi a fare uno “spettacolo”, a presentare dei prodotti. Pochi sanno come chiedere e ottenere il compenso giusto, cioè pochi, in definitiva, sanno vendere quei prodotti.

Mi sarebbe piaciuto poter fare un esperimento con SuperFrank: stesso spettacolo, nessuna richiesta specifica, e poi paragone di incasso rispetto alla modalità da “venditore” che ha usato. Azzardo un’ipotesi: SuperFrank avrebbe incassato un terzo di quello che ottiene dedicando qualche minuto alla “vendita” finale del suo lavoro.

In realtà, un esperimento simile l’hanno fatto – anche se in contesti diversi – quattro ricercatori della Columbia Business School, con una ricerca sulla migliore efficacia delle richieste specifiche nelle negoziazioni pubblicata di recente sul Journal of Experimental Social Psychology ("Precise offers are potent anchors: Conciliatory counteroffers and attributions of knowledge in negotiations", Mason, Lee, Wiley, Ames, Columbia University).

Ci sono ampi studi sull’importanza della prima richiesta o offerta che viene messa sul tavolo durante una negoziazione, perché influenza notevolmente il risultato della trattativa. La prima offerta àncora la trattativa che verrà poi svolta attorno a essa, se è stata posizionata in quella che viene chiamata l’arena di negoziazione, e cioè l’area – solitamente definita dal mercato - dove il potere delle parti è in equilibrio e dove la differenza del risultato la fa l’abilità di negoziazione.

Il valore economico della prima offerta è uno dei dilemmi della negoziazione: dove e come aprire? Alti per poi avere margine di trattativa? Bassi per essere sicuri di raggiungere un accordo? La ricerca della Columbia Business School ha testato modalità diverse di prima offerta, la loro percezione da parte dell’altro contraente e la controfferta che generava.

Un primo studio ha dimostrato che chi fa un’offerta poco precisa (usando ad esempio dei numeri molto arrotondati) riceve mediamente controfferte più penalizzanti. A circa 750 persone, divise in quattro test diversi, è stato chiesto di rispondere con una controfferta (a fronte di uno scenario di trattativa descritto, come una contrattazione per l’acquisto di un gioiello, la fornitura annuale di caffè per una catena di bar, un set di libri universitari usati...) a tre tipi di offerta diversi: una di valore medio arrotondata (mettiamo 20 dollari), una di valore preciso inferiore (19,85 dollari) e una di valore preciso superiore (20,15 dollari).

Il test ha dimostrato che i partecipanti hanno formulato una contro richiesta (di sconto) maggiore nel caso di offerta arrotondata (nell’esempio di cui sopra 10,56 dollari) rispetto alle offerte di valore preciso (richiesta di sconto medio di 7,79 dollari), senza significativa differenza tra la richiesta precisa di maggior o minor valore rispetto a quella arrotondata.

In un secondo studio, a oltre cento persone è stata sottoposta una trattativa di acquisto per un’auto usata. I compratori sapevano di non doverla pagare più di 13.500 dollari, i venditori che non dovevano accettarne meno di 12.500. A metà dei compratori è stato imposto che, se avessero deciso di fare la prima offerta, il numero doveva essere preciso, cioè non terminare con uno zero. Come atteso, i compratori che hanno fatto un’offerta precisa hanno ottenuto un prezzo di vendita finale inferiore (media 12.932 dollari) rispetto a quelli che hanno formulato un’offerta arrotondata (prezzo di vendita medio 13.022 dollari).

L’indagine, dunque, ha dimostrato che i negoziatori che formulano offerte precise sono considerati più informati e più credibili rispetto a chi usa numeri arrotondati e questo fa assumere alla controparte che ci siano maggiori giustificazioni sul valore richiesto e quindi siano meno inclini a chiedere una controfferta molto inferiore.

Lo stesso principio è stato verificato facendo un’analisi delle richieste di aumento di stipendio: le statistiche hanno dimostrato che i lavoratori che chiedevano 63.500 dollari facilmente ricevevano una controfferta da 62.000, mentre una richiesta iniziale di 65.000 portava a una controfferta di 60.000.

Sebbene questo studio sottolinei il potenziale rischio di forte controfferta in caso di prima offerta arrotondata, la nostra esperienza e altre analisi comprovano, comunque, l’efficacia di fare per primi un’offerta, quando si hanno sufficienti informazioni affinché essa sia realistica.

Inoltre, ora sappiamo che è meglio fare un’offerta usando numero precisi e non arrotondati. I numeri tondi sono più facili da ricordare e da manipolare e vengono considerati inconsciamente non “impegnativi”. L’imprecisione è una forma di prudenza e un modo per mascherare incertezza e non conoscenza.

Per completezza, occorre anche tenere in considerazione il rischio nell’utilizzare una prima offerta precisa. In particolar modo, se la prima offerta è esagerata verso l’alto, può provocare una rottura della trattativa; un’offerta troppo precisa potrebbe anche essere considerata un segno di inflessibilità e causare un ambiente competitivo. Per mitigare questo rischio e ottenere risultati migliori, chiedi in modo chiaro e specifico quello che vuoi ottenere, e supportalo, come dicevo all’inizio, con fatti, logica, motivi.

Fai una prima proposta realistica e precisa e poi avanza con cautela. Proponi, spiega, riassumi e invita a una risposta.

Claudio Cubito

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